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domenica 11 dicembre 2011

HAI RAGIONE GIOIA




Noialtri abbiamo qui, un certo tipo di donna, di cui ho già parlato in passato, ma che la poesia “La mantide” di Alessandro Maria Jetti, mi ha fatto tornare in mente.

Vi ricordate la “zia” zitella di cui ho già parlato? Ebbene proprio lei, ma pensatela brava madre di famiglia con figli e marito.

Che sia pettoruta come un transatlantico, o magra come un’acciuga, questa “ fimmina” è dotata di una forza sovrumana, che le permette di sopravvivere alle insidie della vita, e alle morti altrui, intatta e superba.

Il suo segreto, non lo credereste, sta nel fatto che si nutre della linfa vitale di tutti coloro che la circondano, compreso il marito e i figli eventuali, a cui sopravvive tragica come una Medea, ma segretamente compiaciuta.

Fin dall’infanzia è abituata a nascondere segreti e passioni, dietro un apparente chinare la testa, dietro silenzi interminabili e minacciosi, attraverso i quali dirige subdolamente la vita familiare.

La prima vittima è il marito, che convinto com’è delle sue incalcolabili incapacità, si sostituisce a lei in tutto e per tutto, sollevandola pian piano da tutte le fastidiose incombenze della vita quotidiana.

Non si accorge il tapino, di trasformarsi lentamente in una specie di cameriere factotum, a cui spettano tutte le faccende dentro e fuori la casa, convinto com’è di interpretare egregiamente la parte di capo famiglia che tutto comanda e tutto decide.

Lei silenziosa non si ribella mai, salvo poi, sotto il pelo dell’acqua, fare di testa sua, negando sempre e comunque anche l’evidenza.

“ L’elefante vola, Saruzza mia!”

“ Hai ragione Gioia.”

“ Ma sei scema? Ti pare che l’elefante possa volare?”

“ Hai ragione Gioia.”

Insomma lei funziona così, tutto e il contrario di tutto “hai ragione Gioia”.

Intanto pensa “grandissimo fitusu, vieni qui che ti cucino io.” E infatti lo cucina a fuoco lento, finché quello, dopo una vita interminabile di fatiche e di “Hai ragione Gioia” schiatta tempestivamente per lasciare il posto al Figlio.

Perché è col figlio maschio, che questo tipo di donna estrinseca tutte le sue grandi e nascoste capacità.

Tanto per cominciare, lo ama di una amore passionale e possessivo, che mai ha avuto per il marito.

In secondo luogo se l’è cresciuto avviluppandogli il cervello in una ragnatela indistruttibile di doveri, rispetto, e affetto mieloso e colloidale, al punto di renderlo dipendente psicologicamente e affettivamente da lei, sia che abbia cinque, dieci o cinquant’anni.

Lei non chiede mai. Lei recrimina, lei si vittimizza, lei agisce “in modo che”.

Alla fine è il figlio che di sua spontanea volontà infila la testa nel cappio.

“ Mamma lascia che faccio io.” Ed è pronto e cucinato anche lui.

Il copione si ripete perfetto. Piano piano il figlio si ritrova a fare tutto dentro e fuori di casa.

Gli si imbiancano i capelli, la pelle gli diventa flaccida e molliccia, la moglie lo lascia, diventa la fotocopia del padre.

Intanto lei, seduta sul divano, fresca come una rosa e soprattutto sana, nonostante abbia passato i settant’anni, gli dice, controllando con le unghie perfettamente smaltate, la sbavatura di rossetto rosa pallido, sulle labbra sottili “ Hai ragione figghiu me”

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