Romualdo Bufa, si accorse, in una mattina di fine giugno, fredda e ventosa, di essere vecchio.
Se ne accorse, così all’improvviso, guardando la vecchia madre, con cui viveva da sempre, e la sorella nubile, ormai vecchia anche lei.
Non che il suo corpo l’avesse in qualche modo tradito, anzi, aveva un fisico slanciato e asciutto, e capelli scuri che appena iniziavano ad incanutirsi.
Il suo viso, dai lineamenti delicati e vagamente femminei nelle labbra carnose dal disegno armonioso, conservava un che di eterno ragazzo.
Una dolcezza timida e riservata, una limpidezza dello sguardo, come di chi da poco si sia affacciato al mondo.
La sua vita era scivolata sui binari prevedibili e rassicuranti delle scelte che altri avevano fatto per lui. L’infanzia serena nella grande casa paterna, l’adolescenza senza strappi né turbamenti eccessivi fra una madre e una sorella che l’adoravano, poi la giovinezza, l’Università a pochi chilometri da casa, la laurea e l’entrata nell’avviato studio notarile di suo padre.
A pensarci bene, tutto si era svolto come una lunga, serena e un po’ noiosa passeggiata, senza grossi dolori o delusioni, ma anche senza gioie eccessive.
Perfino la morte del padre gli era scivolata addosso come una fatalità dolorosa, lasciandogli libera l’anima da un dolore troppo vigoroso.
E dopo questo, il nulla.
Non una donna nella sua vita, neanche una leggera simpatia.
Non ne aveva sentito la mancanza a dire il vero. Non era uomo da passioni forti, né del cuore né della carne, almeno così si percepiva, con i suoi modi un po’ retrò, da vecchio gentiluomo di campagna che suscitavano negli altri una leggera ironia.
La famiglia, d’altra parte, non l’aveva stimolato mai ad uscire dal suo mondo.
Ma ora stava diventando vecchio e non poteva essere altrimenti, a guardare quanto era invecchiata sua madre, il piccolo corpo deformato da un artrite aggressiva, e la sorella stessa che era diventata una piccola bambola di pergamena, il viso dolce atteggiato ad un’eterna espressione di rassegnata e serena rinuncia.
La si sarebbe detta una suora, e lo era forse negli atteggiamenti e nei pensieri, nelle messe quotidiane a cui partecipava e perfino nella voce che aveva sottile e delicata.
Nessuno mai l’aveva chiesta in moglie, non perché fosse brutta, ma c’era in lei una tale assenza di calore di donna, di femminilità e di vita, che sembrava un essere asessuata come una statuina di porcellana e altrettanto fragile.
Parca di parole e di gesti, di lei Romualdo non sapeva molto né se n’era mai incuriosito.
Fratello e sorella vivevano in due mondi paralleli e sconosciuti l’uno all’altro, che non si incontravano mai. Uniti però in un affetto viscerale ed esclusivo, si scambiavano le emozioni soltanto guardandosi.
Vedere così vecchie le due donne che aveva più care, gli provocava nell’anima un dolore sottile, come di nostalgia per ciò che era definitivamente passato, e irrevocabilmente perduto.
Cominciò a temere la solitudine della grande casa vuota quando la sorella era a Messa e la madre riposava nella sua stanza.
Cominciò a vedere i mobili antichi che cominciavano a tarlarsi, le stoffe consunte dei divani, e la polvere che si annidava invincibile nei tendaggi. Il tempo era diventato il padrone della casa e della loro vita, allungando i suoi tentacoli su tutte le cose.
La sera, quando chiudeva gli occhi concedendosi al sonno, lo prendeva l’ansia sottile dei momenti che scivolano via senza più tornare e la sua vita passata gli sembrava un interminabile processione di inutili giorni sempre uguali e vuoti. Senza desideri, senza emozioni. “Ecco cos’è la vecchiaia!” Pensava.
Era quella nostalgia per il passato, mista al rimpianto per ciò che non era stato. Quell’ingrigirsi dello spirito che ottunde le emozioni in una melassa indistinta e rinunciataria.
Ma possibile che fosse giunto anche per lui il momento in cui ci si accorge che certe porte si chiudono per sempre, che c’è un’ultima volta per tutto? Ma poi, che importava in fondo? Continuava a ripetersi, e quelle parole divennero l’ancora contro l’angoscia.
Cominciò a guardarsi intorno e sembrò accorgersi d’un tratto che i suoi coetanei avevano fatto un lungo pezzo di strada, lasciandolo indietro.
Avevano tutti una famiglia, dei figli, degli amici. Gli sembravano pieni di interessi e passatempi, all’improvviso invidiabili per lui che non aveva mai invidiato nessuno, orgoglioso della sua solitudine.
Una donna poi! Impossibile! Quelle della sua età erano tutte o quasi, sposate e comunque non lo interessavano. Quelle più giovani…ebbene, a queste lui non sarebbe interessato! Sembrava davvero una partita persa in partenza. Conveniva rassegnarsi! E con quel nome poi! Romualdo! Sapeva di rosolio e vecchi merletti, di vecchie case piene di tarli come stava diventando la sua.
Un giorno sua sorella gli disse:
“ La mamma non ce la fa più, e nemmeno io posso accudirla. Conviene cercare qualcuna…”
Lui la guardò distrattamente, annuendo.
“ Ci sarebbe una ragazza ucraina, seria, frequenta la chiesa. Don Paolo la conosce bene e mi ha detto che è fidata…” Si interruppe, aspettando un cenno per proseguire.
Una ragazza? La cosa si faceva interessante. Un’ extracomunitaria magari non ha troppi grilli per la testa. Chissà se era bella. Guardò sua sorella con occhi più attenti e lei si sentì autorizzata a proseguire.
“ Ho pensato di invitarla per il tè, nei prossimi giorni così tu la vedi e mi dici se possiamo prenderla.”
“ Hai pensato bene, sorella mia, e dimmi, com’è nell’aspetto?”
“ Giovane!”Rispose lei, ma il tono si fece scontrosamente pensieroso. Lui non se ne accorse o meglio, fece finta di non accorgersene...
...Per essere giovane, era giovane, ma bella non lo era affatto, e neanche carina.
Bionda, altezza media, corporatura normale, forse appena un po’ robusta, aveva un largo viso scialbo, in cui si aprivano occhi così chiari e inespressivi da sembrare trasparenti.
La piccola bocca carnosa la faceva assomigliare a quelle bambole di poco prezzo che si vendono nei mercatini. Si chiamava Sonia, era timida e quieta. Parlava un italiano sufficientemente corretto, dovuto probabilmente alle frequentazioni chiesastiche.
Sorbiva il suo tè a piccoli sorsi esitanti, tenendo la schiena rigida, le ginocchia unite sotto la gonna a fiori, seduta composta di fronte a Romualdo che la guardava.
Che delusione! Ma aveva tutti i requisiti, come rifiutarla? Ma poi che importava? Non si era illuso più di tanto.
“ Se ti piace, assumila Saretta, che vuoi che ti dica!” Disse alla sorella quella sera stessa.
“ Romualdo, te lo devo dire. Quella ragazza…ha un fratello più piccolo…Don Paolo mi ha detto che è solo e ora è in istituto. Bisognerà prendere anche lui, se prendiamo lei!”
Guardò sua sorella, pensieroso e vagamente infastidito. E che era poi sta novità? Due al prezzo di uno o gli sarebbe toccato di pagare a doppio? Intanto la sorella continuava con la sua voce sottile.
“ E’ un ragazzo di sedici anni, studioso, serio…non ci darà problemi. Ho pensato di sistemare la ragazza con una branda in camera di mamma, e il fratello nello studio, sul divano letto…Che ne dici?”
E che doveva dirle? A quanto pare aveva pensato a tutto lei! Ma poi che importava dopo tutto? Di una donna avevano bisogno, quanto al ragazzo, la casa era così vuota!
E Sonia fu assunta.
Il ragazzo fu una piacevole sorpresa. Si chiamava Yuri.
Non assomigliava alla sorella. Alto per la sua età, slanciato, aveva capelli nerissimi e un viso bello ed espressivo nel quale spiccavano due occhi di un grigio azzurro cupo, il colore del mare in tempesta.
L’espressione corrucciata, rendeva misterioso il suo viso armonioso. La bella bocca, era segnata da impercettibili segni di precoce amarezza.
Parlava poco e male l’italiano, ma si faceva capire. Romualdo si chiese come potesse essere uno studente diligente. Ma poi, non era cosa che lo riguardasse.
La sua presenza in casa, era impercettibile. Se ne stava nella sua stanza la maggior parte del tempo, Dio solo sa, a fare cosa! Certe volte usciva con i suoi compagni di scuola che passavano a chiamarlo. Svettava fra di loro come un giovane puledro puro sangue e si vedeva che aveva una specie di carisma.
Romualdo ne era incuriosito e infastidito insieme. Quella sua giovinezza gagliarda e arrogante lo faceva sentire a disagio e anche vagamente irritato, o forse invidioso…chissà. Ma poi non era uomo da rifletterci troppo, Romualdo Bufa.
La ragazza faceva il suo lavoro e lo faceva bene. Sua madre era contenta, anche sua sorella era contenta, cos’altro poteva desiderare?
Sonia si muoveva per la casa efficiente e silenziosa. Sul suo viso impassibile, neanche l’ombra di una qualche emotività nascosta.
Certe volte si sarebbe potuto pensare che in quella giovane testa, non albergassero pensieri di qualche rilievo.
A tavola, dopo aver servito tutti, sedeva accanto al fratello, sussurrandogli qualche parola nella loro lingua sconosciuta, cosa questa che suscitava in sua sorella Sara una certa irritazione e una notevole diffidenza. Yuri rispondeva appena, nella medesima lingua e poi dopo aver augurato buon appetito, prendeva a mangiare a piccoli bocconi nervosi, che a stento mostravano di trattenere la sua istintiva, naturale voracità.
Sembra un fascio di nervi sempre pronto a scattare e Romualdo sentiva una certa pena per lui, confinato in quella casa di vecchi.
Nello studio di casa in genere Romualdo non entrava mai, usufruendo del comodo e luminoso studio paterno, uno stabile di proprietà che affacciava sul corso principale del paese.
Lì aveva tutte le sue cose, i documenti, il computer, i suoi passatempi. Non aveva voluto neanche una segretaria, quando quella di suo padre era andata in pensione, proprio perché non voleva minacciata la sua privacy.
Lo studio era la sua tana, il suo regno.
Un giorno però avvenne che doveva completare urgentemente una pratica, e perciò fu costretto a portarla a casa. Siccome l’unico posto adatto per lavorare era lo studio dove dormiva Yuri, si vide obbligato a disturbarlo.
Era il tardo pomeriggio di un giorno d’estate particolarmente afoso. Dalle finestre aperte non entrava un filo di corrente.
Nell’aria pesante e densa, nugoli di moscerini sembravano appiccicarsi sui corpi sudati.
Romualdo non faceva che scacciarli dal suo viso per altri versi impeccabile.
Bussò alla porta, non senza pensare all’assurdità di dover chiedere permesso in casa sua, ma poi entrò senza attendere la risposta; Yuri sedeva sul divano con una rivista in mano.
Era in pantaloncini e a torso nudo. La pelle glabra coperta da un velo sottile di sudore. Guardandolo, Romualdo provò un leggero imbarazzo. Mormorò qualche frase di circostanza alla quale il ragazzo rispose con un mormorio indistinto, e si diresse verso l’ampia scrivania dove appoggiò il suo portatile per poi accenderlo. Con la coda dell’occhio, poteva seguire i movimenti di Yuri che, sul divano aveva ripreso a leggere la sua rivista.
Non riusciva a trovare una posizione comoda, forse a causa della calura. Continuava a muoversi accavallando le lunghe gambe per poi distenderle di nuovo.
Ad un certo punto abbandonò la rivista e tirò su le braccia sopra la testa, stiracchiandosi.
Il suo corpo aveva ancora le rotondità dell’infanzia che però stavano rapidamente lasciando il posto alla muscolatura turgida della giovinezza. I capelli scomposti sulla fronte sudata, lo rendevano bello di una bellezza arcana e inquietante come lo sguardo cupo dei suoi occhi di turchese.
Romualdo non riusciva a concentrarsi.
Avrebbe voluto invitarlo a lasciare la stanza, ma con che pretesto? In fin dei conti il ragazzo non faceva nulla che lo disturbasse.
Ad un certo punto si alzò dal divano e andò vicino ad una delle due finestre, dandogli le spalle. Romualdo poté guardarlo liberamente. Teneva le braccia conserte, il fianco appoggiato al muro.
Le spalle erano ampie e lisce, seppure magre; i fianchi stretti sulle gambe lunghe e ben fatte. L’arco deciso della schiena, andava a scivolare dolce, nelle natiche turgide.
Aveva un corpo statuario come un giovane David. Romualdo si sentì involontariamente turbato, come sempre lo era dinanzi alla “Bellezza” solo che fino a quel momento la bellezza a cui lui era abituato, era quella delle foto patinate delle riviste d’arte, e non quella che respirava in un corpo di carne e sangue.
Terminò il suo lavoro in fretta, distrattamente, desiderando soltanto uscire dalla stanza e da quell’imbarazzo che lo faceva sudare più della calura.
Si scoprì stranamente impreparato all’irrompere della bellezza nella sua vita, e a quella giovinezza arrogante che Yuri incarnava e che lui non aveva mai conosciuto.
Ricordava i suoi sedici anni, vagamente, quasi non li avesse in realtà vissuti.
Anche la sua immagine di allora gli era confusa nel ricordo, tanto che ebbe bisogno di andare a cercare vecchie foto, che gliela riportasse alla memoria.
Rivide un ragazzo mingherlino, non troppo alto, le spalle strette, l’espressione timida. Niente a che vedere con la prorompente presenza fisica di Yuri…
Ma poi erano altri tempi. Una vita fa.
Il giorno dopo, era di pomeriggio, quasi sera, guardando per caso fuori della finestra del suo ufficio, vide passare Yuri con un gruppo di amici.
Ridevano. Le loro voci arrivavano fino a lui, portate dalla brezza leggera della sera.
Si capiva che Yuri era il capo, che gli altri lo ammiravano e lo seguivano. La sua voce aspra e roca, emergeva sulle altre. Ad un tratto alzò lo sguardo e i suoi occhi incrociarono quelli di Romualdo che lo stava guardando. Fece un cenno con la mano in segno di saluto e poi gli sorrise.
Era la prima volta che lo vedeva sorridere e la cosa lo colse impreparato. Fu come un lampo di luce nel buio, come un profumo intenso che si percepisce all’improvviso.
Romualdo, si ritrasse in fretta, quasi come un ladro, senza neanche rispondere al saluto.
La sera a cena, di nascosto da sua madre e sua sorella, gli allungò una banconota da cinquanta euro, spinto da un impulso subitaneo e invincibile, che provò a giustificare col pretesto che il ragazzo non doveva sfigurare di fronte ai suoi amici.
Yuri sembrò non stupirsi affatto della cosa, come se se l’aspettasse o ci fosse in qualche modo abituato. Ma Sonia aveva visto e per un attimo, gli sembrò di cogliere nel suo sguardo trasparente e vuoto, un muto rimprovero.
Dopo quel sorriso, per un po’ non ce ne furono altri. Il ragazzo sembrò tornare al suo cupo mutismo, chiuso in se stesso come non mai. Continuava a passare sotto la finestra di Romualdo, ma neanche una volta alzò lo sguardo verso di lui.
Oramai era diventata una consuetudine per Romualdo, mettersi dietro alla finestra sempre alla solita ora, aspettando che passasse. Non avrebbe saputo dire perché lo facesse, ma non riusciva a impedirsi di farlo.
La sera a cena, Sonia sempre più spesso parlottava con il fratello nella loro lingua sconosciuta e Romualdo si convinse che fosse sua la colpa, se il ragazzo si dimostrava lontano e diffidente.
Sonia non gli piaceva.
Non gli piaceva quel suo viso piatto e inespressivo, né la sua voce quieta e monocorde con la quale faceva al fratello chissà quali discorsi.
Eppure era diventata sempre più necessaria nella casa.
Ormai Sara le aveva delegato ogni cosa, e dopo l’iniziale diffidenza, sembrava considerarla quasi un’amica.
Sua madre le si affidava fiduciosa e tranquilla, preferendo la sua compagnia a quella dei suoi stessi figli.
Ma poi senza Sonia, niente Yuri e allora…
Una sera lo sentì passare giù in strada, insieme ad un gruppo di amici particolarmente rumorosi.
Fra le voci maschili, si distingueva la sua, vigorosa e aspra e anche qualche voce femminile.
La curiosità spinse Romualdo ad affacciarsi.
Era lì, insieme ai tanti suoi amici e accanto a lui, una ragazzina gli si strusciava contro come una gatta in calore. Aveva circa la sua età, ma era già femmina nei gesti e nella voce. Sicura e audace lo toccava con piccoli gesti veloci, troppo bruschi per essere carezze.
Lui rideva, il bel viso disteso. I due corpi vicini esprimevano un calore che sembrò raggiungere Romualdo fin sopra il davanzale della finestra.
“Ma poi… sono ragazzi!” Si disse lui, ma il suo cuore batteva all’impazzata nell’emergere subdolo di un’inquietante, ingiustificabile, assurda gelosia che lo aveva colto all’improvviso, come uno schiaffo in pieno viso. Yuri in quel momento alzò lo sguardo verso di lui, distogliendolo subito, senza salutare, ma non prima che Romualdo cogliesse un che di sfida, di ironica durezza, nei sui occhi cupi.
Quella sera, fu come se una nuvola avesse oscurato una bella giornata di sole, spezzando l’atmosfera di serena compostezza, per aprire le porte ad un temporale imminente.
Romualdo, trascorse il resto della serata in uno stato di turbamento fastidioso. A cena non ebbe il consueto appetito e si sforzò di ignorare completamente il ragazzo, come se non esistesse.
“ Non stai bene gioia?” Gli chiese sua sorella, indisponendolo con quel suo tono di tenerezza fuori luogo, lì davanti a tutti. Gli sembrò quasi di cogliere con la coda dell’occhio, un mezzo sorriso sul viso di Yuri e questo lo fece infuriare ancora di più.
Ma chi si credeva d’essere quel maledetto moccioso? Gli aveva dato troppa confidenza, ecco. Era sua la colpa. Era bello e allora? Ce n’erano mille di ragazzi più belli di lui, e poi che ci entrava lui, Romualdo Bufa, con la bellezza eterea di un giovane efebo.
“Stai proprio invecchiando amico mio”. Quella bellezza lo turbava ma in modo cerebrale, quasi artistico, si disse, quasi a giustificarsi. Tutto qui!
Il giorno dopo, nel primo pomeriggio, estenuato dalla noia e dalla calura, si mise in testa di voler sfogliare i suoi cari libri di storia dell’arte, dove era certo di avere visto una statua di efebo che assomigliava in modo evidente a Yuri.
Magari, se l’avesse trovata, gliel’avrebbe fatta vedere. Aveva idea, che il ragazzo fosse completamente digiuno di arte e pittura. Ma poi! Questi giovani d’oggi sono così vuoti e superficiali, si disse, che non c’è da aspettarsi nulla da loro.
E così si diresse deciso verso lo studiolo, bussò deciso ed entrò senza aspettare la risposta.
Yuri era come al solito disteso sul divano letto, aperto questa volta, con un giornale in mano. Ma al suo entrare ebbe uno scatto e gli girò le spalle. La rivista gli cadde dalle mani, permettendo a Romualdo di vederne le figure stampate sopra.
Donne nude! Ecco! Era questo dunque? Lo sconvolgimento ormonale dell’età! Sconvolgimento che Romualdo non ricordava di aver mai provato…
Yuri ormai scoperto, si rigirò supino e Romualdo colse, evidente, la sua eccitazione. Il ragazzo non fece nulla per nasconderla, anzi, il suo sguardo si fece arrogante e adulto, quasi a cercare in lui, Romualdo, un’inaccettabile complicità.
In quel momento non era un ragazzo di sedici anni, ma un uomo in cui l’innocenza si era perduta, posto che ci fosse mai stata. La sensualità aveva alterato la purezza dei sui lineamenti, imbruttendolo.
“Ma poi che vai a pensare?” Si disse Romualdo. “Sei diventato un vecchio bigotto che si scandalizza davanti all’eccitazione di un ragazzo?” Ci siamo passati tutti a quell’età, ma no, lui non ci era passato. Non ricordava affatto. Non ricordava niente, ammise con una punta di amarezza.
E forse era proprio questo il guaio, rifletteva, non aver vissuto la giovinezza come avrebbe voluto, e adesso era tardi, in ogni caso. Mille Yuri non gli avrebbero restituito il tempo perduto!
Ma poi cos’era questa assurda infatuazione per un ragazzo qualunque? Nessuno avrebbe potuto capirla e tanto meno giustificarla. Romualdo meno degli altri.
La sua vita cristallina, che mai aveva conosciuto turbamenti, né devianze di qualsiasi genere, era andata ora ad incepparsi in quel nodo di emozioni che il bel corpo di Yuri gli suscitava.
Aveva voglia a dirsi che era un godimento estetico, artistico, il guardarlo! Non era l’arte che gli faceva scorrere, veloce, il sangue nelle vene, accelerando i battiti del suo cuore e provocandogli una euforia fino a quel momento sconosciuta.
Stava diventando vecchio, ecco tutto. Un vecchio stupido e patetico. Il pensiero quasi lo divertiva.
Ma poi, a chi doveva darne conto? Sara non si era accorta di nulla, sua madre era sempre più svanita, Sonia…Già Sonia, dio solo sapeva cosa passasse dietro l’opaca trasparenza dei suoi occhi acquosi. Ma in fin dei conti conveniva anche a lei.
Intanto l’estate scivolava verso l’autunno, lasciandosi alle spalle giornate sonnacchiose e lente che come acini d’uva troppo maturi, sembravano spargere un odore dolciastro di putredine.
Il calore eccessivo di quel sole implacabile, piegava il corpo e anche l’anima ad un’indolenza colpevole e pagana, spegnendo i pensieri e la coscienza in un’istintività quasi animale, al punto che Romualdo cominciò a trovare quasi normali, i suoi sperdimenti e i suoi gesti vagamente colpevoli, quando trovava ogni pretesto per sfiorare la pelle di Yuri, magari accarezzandogli i capelli, o il collo lungo di puledro.
Il ragazzo non si opponeva a questi gesti, anzi sembrava gradirli. Come sembrava gradire e molto le banconote da cinquanta euro che Romualdo sempre più frequentemente gli regalava.
Sonia invece non gradiva.
I suoi silenzi rimproveravano più di mille parole. Ormai non parlottava più con il fratello, né nella loro lingua, né in italiano. Si era come spezzato il vincolo di complicità che li univa e a Romualdo la cosa faceva piacere, confermandogli l’impressione che Sonia fosse solo un ostacolo fra lui e l’oggetto del suo desiderio.
“Ma quel ragazzo, non ti sembra strano, e gli amici che frequenta chi li conosce!” Gli diceva Sara.
“ Ma che capisci tu!” Insorgeva lui.
“ E già, te lo stai covando come il figlio che non hai…” Insisteva lei, fraintendendo i suoi sentimenti.
Non capiva, Sara.
Non poteva capire l’irrompere della “Vita”nel grigio fluire della sua esistenza, ora che il passato non era più importante, e il futuro un breve tunnel verso il nulla.
Capita che a volte l’odio vesta i panni dimessi di un banale rancore, e in questi panni si mimetizzi, permettendo al suo sottile veleno, di infiltrare indisturbato ogni cosa. Così Romualdo Bufa sentiva crescere in se l’insofferenza verso Sara e i suoi dubbi di zitella bigotta, verso sua madre, sempre più persa nelle nebbie della sua vecchiezza, verso Sonia, che vigilava come un’ombra inquieta sui suoi tentativi maldestri di avere Yuri tutto per se. Verso la casa stessa, troppo affollata e troppo grande per incontri troppo ravvicinati.
In realtà odiava l’intera sua vita, come fino allora era stata, un immenso spreco di giorni e di talenti in una mediocrità rassicurante e spenta…Come aveva potuto! Come aveva sprecato se stesso con la complicità di quelle due piccole donne più spente di lui…
Ma poi…adesso…Yuri…
Non gli era facile in verità accostarsi al ragazzo, perfino parlare con lui.
Yuri stesso sembrava più o meno consapevolmente, tenerlo sospeso nel limbo del suo desiderio, evitando di concedergli attenzioni eccessive.
Aveva intensificato le sue visite allo studiolo, ma Yuri non si era più fatto trovare, lasciandolo sconfitto e deluso.
Usciva con gli amici, continuando a passare sotto la sua finestra, senza però mai alzare lo sguardo verso di lui.
La sua bellezza, nei mesi andava maturandosi in un aspetto di giovanile esuberanza maschia e audace che attirava le donne anche più grandi di lui e della cui evidenza appariva consapevole e orgoglioso quasi in maniera irritante.
Potergli sfiorare quella pelle bruna, di cui Romualdo immaginava l’odore aspro e selvatico!
Poterne cogliere il sapore salato che il mare di quel torrido settembre certamente vi aveva lasciato…
Romualdo neanche più di sforzava di nascondere a se stesso, la vera natura della sua attrazione.
Ogni difesa, mentale e morale si era andata sbriciolando nel gorgo impetuoso del desiderio che si rinnova in se stesso, nutrendosi perfino delle assenze…
“ Sonia sarà costretta a lasciarci molto presto!” Esclamò Sara una sera dopo cena, in un momento che erano rimasti soli nella sala deserta.
“ Lasciarci? E perché?” Chiese Romualdo, tentando invano di frenare i battiti impazziti del suo cuore.
“ Il suo permesso di soggiorno, è scaduto, ma inspiegabilmente non glielo hanno rinnovato. Non so, una questione di scadenze burocratiche non rispettate…”
“ Sciocchezze! Andrò a parlare in questura. Col comandante siamo amici d’infanzia. Non mi negherà il favore di sistemare le cose.” Affermò convinto.
In realtà c’era ben poco da fare, gli disse Calogero Mannino, che in rispetto dell’antica amicizia avrebbe voluto certo, ma davvero non poteva. La legge! La legge così elastica con tanti, ma rigida con lui Romualdo Bufa, e con una Sonia qualsiasi.
Solo una cosa si poteva fare, ritardare il provvedimento di espulsione per lei e per il fratello, il più possibile. Non si preoccupasse Romualdo, anche di un paio di mesi.
Romualdo ricacciò la delusione in fondo alla gola. Si sentiva come un condannato a morte a cui hanno rimandato di poco l’esecuzione della sentenza.
Che fare dunque? Per quanto ci pensasse, non trovava la soluzione.
La battaglia era perduta, lo sentiva. O forse no.
La soluzione, o meglio quella che poteva diventare la soluzione, gli venne incredibilmente proprio da sua sorella.
“ Ti devo confessare una cosa, fratello mio. Non l’ho detto prima perché avevo paura che tu ti saresti infuriato, ma ora…ormai non ha più importanza, visto che Sonia è perduta comunque…”
Romualdo che fino a quel momento l’aveva ascoltata distrattamente, a sentire pronunciare il nome di Sonia, drizzò le orecchie.
“ Ecco, non so come dirtelo…Yuri…insomma Yuri non è suo fratello, ma suo figlio…Un errore di gioventù…Una dichiarazione falsa sui documenti..Se si accorgono…Don Paolo…”
Ma a chi importava di Don Paolo? Se Yuri era suo figlio significava che se fosse riuscito a fare restare lei, sarebbe stato più facile far rimanere anche lui!
“ Non sei arrabbiato? Per un errore…Sonia è una ragazza seria…” Ma ormai Romualdo non l’ascoltava più. Il suo cervello macinava pensieri che si accavallavano gli uni sugli altri, senza ordine né logica.
“ Amico mio, cosa vuoi fare?” Gli stava dicendo l’avvocato Cangemi, legale della famiglia da generazioni, a cui si era rivolto per un consiglio.
“ A meno che tu non voglia sposarla!” Aveva concluso, scherzando.
Sposarla? Eccola la soluzione, non potevano essercene altre. Come non averci pensato prima.
Ci rifletté.
Della sorella e della madre non si preoccupava, le avrebbe convinte, ma Sonia? Cosa avrebbe risposto Sonia alla sua proposta?
Sentiva di non esserle simpatico, e della cosa non si era mai curato, ma adesso? Come avrebbe preso Sonia, una richiesta di matrimonio? Eppure era fondamentale che accettasse. Dopo, Romualdo avrebbe adottato Yuri che sarebbe diventato a tutti gli effetti come un figlio.
La sua fantasia galoppava.
Ad un tratto si accorse che l’avvocato Cangemi continuava a parlare.
“ Ma perché tutto questo interesse? Se vuoi te la trovo io un’altra donna per tua madre. Ho qui una…”
“ Ma dai! Alfredo, non ti devi disturbare. La mamma ormai si è abituata a Sonia e io non voglio turbarla inutilmente.” Lo interruppe subito.
“ Come dici tu, ma renditi conto che non sarà affatto facile farla rimanere…”
“ A meno che io non la sposi, no?” Concluse Romualdo ridendo. L’altro lo guardò pensieroso.
I giorni successivi furono frenetici. Riuscì quasi a non pensare a Yuri, tanto era preso dalla preoccupazione di dirlo a Sonia. Ma il tempo stringeva. Doveva sbrigarsi.
L’affrontò un pomeriggio, mentre sua madre riposava e Sara era a messa. In casa sembrava ci fossero solo loro, forse Yuri era uscito.
Fece un lungo preambolo, alludendo al problema dell’espulsione. Sonia continuava a guardarlo col suo sguardo vuoto. Non parlava. Romualdo si chiese se capiva i suoi ragionamenti.
“ L’unica soluzione per te, sarebbe che ci sposassimo.” Concluse.
In un primo tempo pensò che lei non avesse sentito, perché non rispondeva. Ma all’improvviso Sonia emise un sospiro e gli girò le spalle allontanandosi. Nella stanza risuonò una risatina divertita. Romualdo si girò e sulla porta vide Yuri che rideva apertamente. Ovviamente aveva ascoltato tutto il discorso. Ad un tratto il ragazzo alzò la mano e gli fece ok con le dita.
Inspiegabilmente la cosa lo irritò.
Si sentì vulnerabile e sciocco.
Ora se Sonia avesse rifiutato, lui avrebbe perso la faccia.
Yuri si scostò per farla passare. Si guardarono, poi lei uscì dalla stanza senza dire una parola.
I giorni successivi furono per Romualdo una vera tortura. Si sentiva sospeso in un limbo.
Sonia lo evitava e anche Yuri.
Sua sorella, continuava a tediarlo con le sue preoccupazioni. Già pensava a trovare un’altra donna per accudire la madre. Sonia era ormai accantonata, come se fosse già andata via.
Una sera, era piuttosto tardi, Romualdo se ne stava disteso sul letto, nella sua stanza, con un libro fra le mani.
Bussarono alla porta.
Un tocco deciso, sonoro e forte.
Yuri entrò senza aspettare di essere invitato, nello stesso modo in cui Romualdo aveva fatto tante volte, entrando nello studiolo che era la sua camera.
Provò vergogna che il ragazzo lo vedesse in pigiama, i capelli spettinati, la pelle bianca e molle che traspariva dal colletto aperto. Yuri era in pantaloncini e torso nudo come al solito. Con lui entrò l’afrore della sua giovane pelle sudata. Un odore aspro, persistente e selvatico. Era così abbronzato da sembrare negro. Ma sul viso spiccavano gli occhi come schegge di zaffiro.
Sedette sul bordo del letto rimanendo in silenzio per un po’. Finalmente si decise a parlare.
“ Mia sorella accetta.” Disse a voce bassissima, quasi sussurrando.
“ Cosa?” Romualdo voleva essere sicuro di aver capito bene.
Yuri alzò la mano e l’appoggiò sul torace di Romualdo e poi avvicinò il viso a quello di lui e ripetè:
“ Mia sorella accetta di sposarti.” Ora sorrideva apertamente.
“ Se lei ti sposa, resta e così posso restare anche io vero?” Continuò.
“ Non so, ma penso di si…vedremo il da farsi…ma bisogna fare presto…c’è poco tempo…” Romualdo ormai quasi balbettava. Yuri lo interruppe con un abbraccio. Un abbraccio infantile e grato che gli restituì la giovane età, che il suo sguardo cupo aveva perduto.
Romualdo percepì, distinto, il profumo fruttato del suo alito. Avrebbe sposato il diavolo in persona per tenere Yuri vicino a se.
Sara era sconvolta, a dire poco.
“ Ma che dici! Che dici! Straparli!” La sua voce era di almeno un’ottava più alta del solito.
Non sembrava più una statuina di porcellana, ma una piccola megera, gli occhi fuori dalle orbite, il petto scarno che sussultava a ogni parola, il respiro affrettato.
“ Ma insomma, cosa sono tutte queste storie? E’ la soluzione migliore per tutti…” Cercò di calmarla.
“ Ma quale soluzione? La soluzione è trovare un’altra donna. Ma cosa ti salta in testa? Con la vecchiaia ti sei rincitrullito!” Sibilò lei velenosa. Questo lo fece veramente infuriare.
“ Se anche fosse? Mi voglio sposare, e allora? E’ cosa che ti riguardi?”
“ Ma una…una badante…una…una che chissà quanti uomini ha avuto!” Esclamò lei sempre più inviperita.
“ Ma come, non eri tu l’entusiasta! Dicevi – un errore di gioventù, è una ragazza seria! Chiacchiere! Ora non la vuoi per cognata e torna ad essere una badante, un pezzo di…”
“ Ti prego di moderare le parole.” Lo interruppe lei.
“ Io dico per la gente. Vuoi metterti sulla bocca di tutti?” Cercò di rabbonirlo.
“ Per quanto me ne importa.” Mormorò lui.
Discussero a lungo, si accapigliarono. Lei pianse, pregò, minacciò, ma alla fine dovette rassegnarsi. Romualdo fu irremovibile. Non c’erano dubbi che valessero il profumo selvatico della pelle di Yuri.
I giorni successivi furono febbrili. La madre persa nel suo limbo fatto di nulla, non si accorse di niente, ma Sara soffriva in silenzio, i piccoli occhi umidi di lacrime che solo l’orgoglio tratteneva.
Sonia era immota e silenziosa quasi che la cosa non la riguardasse. Il suo sguardo trasparente e vitreo aveva la densità dell’acqua stagnante.
Non parlava, continuava le sue faccende come sempre, continuando ad essere serva in una casa dove stava per entrare da padrona.
Yuri stava sempre intorno a Romualdo, seguendo dappresso tutti i preparativi. Talvolta gli sbrigava qualche faccenda, servizievole più che mai, accettando il denaro che lui gli elargiva con la stessa noncuranza con la quale accettava le sue carezze ancora innocenti ma già insinuanti e complici. Un patto tacito fra loro che non aveva bisogno di parole. Un patto che si avvicinava alla scadenza.
Romualdo era ebbro e ansioso proprio come un futuro sposo. Incurante delle chiacchiere che in paese travolgevano la sua famiglia.
“ E’ incinta? E certo, altrimenti perché mai… Ma anche così, non si poteva trovare un accomodamento? La vecchiaia rende stupidi…” Il pettegolezzo saliva ad ondate, come l’odore pungente del mare in certe sere d’estate e travolgeva il viso esangue di Sara che ormai non usciva più per la vergogna, perché oltre quel matrimonio inaccettabile, aveva capito.
Aveva capito con la sensibilità del sangue che li univa, qual’era la vera ragione di quell’urgenza, di quella pazzia che leggeva nello sguardo esaltato del fratello.
L’inverno arrivò all’improvviso, trasformando la leggera brezza marina, in un impetuoso vento freddo che spazzava inclemente le strade.
Il mare gonfio di rabbia e di furore, mangiandosi la spiaggia, andava a bussare con le sue dita di ghiaccio, ai balconi delle case del lungomare.
Nelle strade deserte pochi passanti, nella grande casa il tepore del caminetto acceso nel soggiorno a riscaldare le vecchie ossa della madre, Sara davanti alla televisione, guardava con gli occhi vuoti le immagini che scorrevano sullo schermo, persa in dolorosi pensieri.
Romualdo si era sposato da un mese.
Sonia aveva usurpato la stanza matrimoniale che era stata dei genitori. E lì spesso si rifugiava, pigra e silenziosa, chiusa in un’ostilità rassegnata. Non si meravigliava della mancanza di ardore del suo fresco sposo che le dormiva a fianco, lontano nel cuore e nel corpo come se fosse stato su un altro pianeta.
Yuri viveva la sua vita impetuosa, sempre immerso fra amiche e amici salvo quando Romualdo lo chiamava a se, lusingandolo con regali sempre più costosi e col fiume di denaro che gli elargiva e che il ragazzo accettava come se gli fosse dovuto, rendendosi prezioso con un atteggiamento insofferente e duro che l’altro subiva senza fiatare.
Yuri era il diventato il padrone della casa e delle loro vite, che scandiva con egoistico vigore, forte dell’ascendente che aveva su Romualdo a cui concedeva qualche rara e frettolosa carezza, illudendolo con sguardi allusivi e dolci sussurri, mentre sfogava i suoi ardori con la compagna di turno, una delle tante ragazzine dalle gambe lunghe di gazzella che gli stavano intorno.
Vincitore indiscusso dominava nel suo piccolo regno, fingendo di ignorare le lacrime di Sonia che assisteva impotente al suo perdersi sui sentieri di passatempi futili e pericolosi in cui sprecava i suoi molti talenti.
Ma Romualdo era felice. Sentiva nel cuore lo sfarfallio leggero dell’amore che non aveva mai provato nella vita. Gli bastava guardarlo vivere da lontano, perdersi nei suoi occhi, annegare in quel blu profondo, immaginando chissà quali pensieri in quella bella testa. Gli bastava immaginare di sfiorare quella pelle di seta ancora glabra, per sentirsi vivo. Gli era grato di esistere, delle briciole di attenzione che Yuri gli elargiva.
Non vedeva che la giovinezza in lui aveva lasciato il posto ad una consapevolezza colpevole e cinicamente complice. Non si accorgeva di quanto il giovane sfruttava i suoi sentimenti.
Ma poi…se anche se ne accorgeva, era così bello sentirsi vivo nell’attesa di vederlo, di sentire la sua voce, di aspettare un suo sguardo che illuminasse il grigio delle sue giornate.
Il sesso fra loro era una parola impronunciabile e impronunciata ma aleggiava nel chiuso delle stanze, nell’aria fredda dell’inverno imminente. Impregnava i gesti, le parole e i pensieri creando nubi dense di imbarazzo negli altri abitanti della casa. Persino la vecchia madre sentiva la tensione palpabile, le lacrime trattenute di Sara, l’ostilità silenziosa di Sonia.
Era come uno scivolare lento e implacabile verso un destino annunciato di perdizione e degrado, nel quale Romualdo godeva quasi ad abbandonarsi.
E quella giovane donna che aveva sposato e che per lui non significava nulla, ne era stato lo strumento.
Oramai in paese di quel matrimonio non si parlava più, presto sostituito nei pettegolezzi da altri più recenti accadimenti. Ma di Romualdo si tornò a parlare molti mesi dopo, quando per un colpo improvviso morì in un giorno di primavera che annunciava l’estate. Nel testamento aveva lasciato tutto ciò che aveva potuto a Yuri cosa che provocò non poche chiacchiere. Ma un terremoto ci sarebbe stato se si fosse saputo ciò che sua sorella Sara avrebbe negato a costo della vita e cioè che l’avevano trovato morto nel sonno, abbandonato nel letto di Yuri, abbracciato a lui, con un sorriso beato sul viso come se avesse già visto aperte le porte del paradiso…
Nessun commento:
Posta un commento