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giovedì 25 ottobre 2012

IL GIORNO DELLA FESTA


C’era fermento in Paese. 
Bianchi grovigli di ovatta macchiavano l’azzurro irreale di quel cielo di Ottobre.
Tutti aspettavano la festa della Madonna Scalza, giorno in cui il borgo si sarebbe riempito di pellegrini e turisti venuti da ogni dove. Ci sarebbero state le funzioni religiose, i fuochi d’artificio, le bancarelle con lo zucchero filante e le caldarroste. E poi ogni tipo di venditore ambulante.
Le strade sarebbero state invase da rumore, colori e chincaglierie di ogni genere.

Il clima era inspiegabilmente caldo per la stagione. Sembrava di essere all’inizio dell’estate invece che alle porte dell’inverno.
“ E così, chissà se potrò indossare quella giacca nuova che mi costò un occhio della testa!” Pensava la vedova Gesualda Mai, accarezzando con un gesto quasi lascivo, la morbida superficie della giacca di kashmir che aveva acquistato solo la settimana prima.
Ci teneva tanto! La funzione religiosa, la processione, sarebbero state occasioni di incontri con le amiche che certamente gliel’avrebbero invidiata.
Gesualda usciva poco. Si sentiva sola ma non l’avrebbe mai ammesso. Come non avrebbe mai ammesso che sentiva la mancanza non di suo marito, di cui conservava un pallido ricordo, quanto di un uomo nel letto.
Era una donna piacente, dal sangue vigoroso con piccoli occhi di furetto e un sorriso gelido sulle labbra sottili.
Aveva quell’età in cui i piaceri della carne non sono ancora un ricordo ma spine acuminate nella carne viva.
Il Cardinale Spano malediceva il giorno che aveva deciso di tornare al paese per vendere la casa paterna. Anche pochi giorni di assenza da Roma e quella massa di sciacalli che infestavano il Vaticano avrebbero certo complottato contro di lui.
D’altra parte la casa stava cadendo a pezzi, meglio sbarazzarsene il prima possibile. Suo fratello buonanima, non aveva fatto niente per fermare gli sfracelli del tempo. Un buono a nulla, suo fratello! Trent’anni a fare l’impiegato dell’anagrafe in quel buco, mentre avrebbe potuto raggiungerlo a Roma dove lui avrebbe saputo come fargli fare carriera.
Si era ostinato a rimanere al paese e sposare l’amore di una vita, una ragazzetta incolore che conosceva dalle elementari.
Il cardinale guardò il suo segretario particolare che l’aveva accompagnato. Avrebbe potuto forse incaricare lui invece di precipitarsi egli stesso.
Scosse la testa. Quella piccola serpe che si allevava in seno! Ci scommetteva che non avrebbe mosso un dito di fronte alla sua eventuale rovina. Era un arrivista senza scrupoli, il segretario particolare. Ma era bello. Il più bell’uomo che avesse mai visto e al cardinale piaceva circondarsi di bei ragazzi…
“ Bisognerà che vada a trovare mia cognata!” Pensò il cardinale, prima di ricordare che lei era morta l’anno prima di un male incurabile.
Era sempre stato così. Non aveva mai trovato il tempo per allontanarsi da Roma e andare a trovare la famiglia. Li aveva perduti tutti ad uno ad uno nel passare degli anni senza aver mai trovato il tempo e la voglia di salutarli per l’ultima volta.
Alzò le spalle irritato a quel pensiero.
Il Sindaco era molto soddisfatto di se. La festa prometteva di riuscire bene. Aveva preparato anche festeggiamenti a sorpresa per la visita al paese natio del cardinale Spano, dopo trent’anni che mancava.
Sarebbe stato un anno memorabile, lo sentiva. Per lui lo era sicuramente. Da pochi mesi aveva una relazione clandestina con una ragazza molto giovane figlia del suo più caro amico.
Si poteva dire che l’aveva vista nascere Camilla. Mille volte l’aveva tenuta sulle ginocchia.
Ma poi lei era cresciuta. Lunghi capelli chiari, occhi che sembravano schegge di cobalto e un corpo indimenticabile.
Aveva un modo di guardarlo, così in tralice, la testa piegata sulla spalla, lo sguardo obliquo e malizioso che lo faceva sentire…vivo.
In realtà non era accaduto poi molto fra loro. Qualche passeggiata in macchina, qualche bacetto a fior di labbra, qualche palpatina…ma lei ci stava era chiaro. Solo che fino a quel momento gli era costata un mucchio di soldi in piccoli regali. Questi giovani d’oggi! Semplicemente fissati con le firme.
Giovanna era innamorata. Lo era da mesi. E “lui” non lo sapeva.
Lo guardava da lontano struggendosi, senza trovare il coraggio di fargli capire…solo qualche parola di sfuggita e sorrisi. Sorrisi che rischiaravano il buio e di cui lui neanche si accorgeva.
“ Domani! Nella confusione della festa, farò in modo di passargli vicino, di sfiorarlo…” Si diceva.
E ripetendoselo cercava di trovare il coraggio di affrontare il dolore di un eventuale rifiuto.
Giovanna si passò le mani nei capelli che aveva folti e ricci con riflessi d’oro. Era bella, ma non lo sapeva. La solitudine e la paura avevano scavato solchi di tristezza nella sua vita…
Lui aveva uno sguardo lontano e luccicante, una bocca sottile un corpo snello e scanzonato.
A vederlo arrivare da lontano, il cuore di Stella si riempiva di luce, ed era una luce accecante che spegneva ogni colore intorno. Viveva aspettando di vederlo spuntare, di incontrare il suo sguardo morbido e caldo. Fra loro non una parola e Giovanna si arrovellava per trovare il modo di capire, di sapere se anche lui…
“ Sarà per oggi! Lo sento. Oggi troverò il coraggio di dirglielo. Oggi o mai più…”
  La mattina della festa, faceva caldo. Una caligine densa copriva i tetti delle case, smorzando i colori di quel tardo autunno che sembrava estate. Nell’aria immobile un’inspiegabile latrare di cani feriva il silenzio punteggiato dai rumori attutiti dei preparativi della festa.
Il sole era circondato da un alone rosso che non si era mai visto.
La vedova Gesualda, imprecò: “ Non potrò indossare quella maledetta giacca. Fa troppo caldo, accidenti!” E scelse un tranquillo completo di lino grigio che la invecchiava.
Impettita e di cattivo umore uscì di casa per recarsi alla Funzione religiosa. Una zingara all’angolo della strada, si offrì di leggerle la mano. La scacciò con un cenno indispettito. Solo quello ci mancava!
Camilla indossò la gonna più corta che riuscì a trovare, e una maglietta stretta che metteva in evidenza i piccoli seni. Suo padre la guardò con uno sguardo severo, ma lei non gli diede importanza. Era tanto oramai che non lo ascoltava più.
Si chiese se Franco quel giorno le avrebbe chiesto di più. Forse avrebbe potuto tenerlo a bada ancora un pò. Non era certo la verginella che lui credeva, e il sindaco come uomo non era brutto, ma era così vecchio. Magari non lo era davvero, ma a 16 anni i quarantenni sembrano decrepiti.
L’amico di suo padre! Chi l’avrebbe detto. Ma ricordava quando lui aveva tentato di baciarla nell’ascensore e non era certo un bacio casto! E allora aveva 13 anni! Ricordava ancora bene la vergogna, il ribrezzo…Ora era diverso. E poi lui le faceva regali. Ma si, che importanza poteva avere? Sempre meglio di farsi palpeggiare dai compagni di scuola, bavosi e inetti che non pensavano ad altro che mettere le mani sotto le sue gonne.
“ Basta! Ancora un giorno e parto. Venire qui è stata un’idiozia. Come se avessi potuto vendere la casa in due giorni! E all’agenzia potevo rivolgermi anche da Roma.” Pensava il Cardinale, mentre faceva colazione al bar dell’ hotel seduto di fronte al suo segretario.
“ E questo poi che non mi tiene informato! Non fa che telefonare con quel suo dannato cellulare! A chi telefona? Sicuramente sta preparandosi a farmi le scarpe!” questo pensiero gli tolse di botto l’appetito. Allontanò il piatto e si alzò dal tavolo.
“ Andiamo Don Pietro, è tardi e devo prepararmi per dire messa!”
La piazza era gremita mentre il pomeriggio scivolava nella sera. Tutti erano satolli di grandi abbuffate, di calia mangiata passeggiando sul corso. Famiglie coi vestiti della festa, bambini vocianti, innamorati eternamente avvinghiati, tutti aspettavano i fuochi d’artificio che avrebbero chiuso la giornata.
La processione della Madonna scalza che dal santuario aveva portato la santa statuetta lungo tutte le strade del paese era stata sontuosa.
Forse per la presenza del cardinale, c’era stata un’affluenza record. Perfino Scalise il cronista del quotidiano locale vi aveva partecipato. Il sindaco in prima fila con la fascia tricolore era più tronfio di un pavone.
Anche Amed era felice. Aveva venduto tutta la sua mercanzia. Inutili chincaglierie che di solito nessuno comprava. Quella notte Mustafa il suo padrone non avrebbe avuto di che adirarsi.
E magari gli avrebbe lasciato nelle tasche qualcosa di più di quei pochi euro che di solito gli dava.
Amed aveva fame, il suo stomaco gorgogliava, continuamente stimolato dagli odori delle bancarelle di salsicce fritte e di caldarroste.
Dalla mattina solo una misera brioche. Chissà se avrebbe potuto comprarsi un panino. Magari Mustafa non se ne sarebbe nemmeno accorto e anche se fosse? Più che picchiarlo non poteva fare…
Il cardinale era stanco e vagamente nostalgico. Le palpebre pesanti gli scendevano sugli occhi lacrimosi. Tutte quelle chiacchiere, tutti quei discorsi e quel pallone gonfiato del sindaco con i suoi stupidi festeggiamenti. Aveva nostalgia dei suoi appartamenti a Roma, delle sue abitudini, di tutti i suoi libri. Chissà cosa avrebbe pensato la sua povera madre a vederlo adesso. Lei una povera contadina analfabeta. Ricordava ancora le sue mani ruvide e grossolane che sapevano di liscivia e di fatica. Ricordava i suoi occhi lucidi e commossi quando si era fatto sacerdote. Se ne stava impettita nel suo vestito della festa e nelle mani stringeva il rosario…
“ Come mi sento stanco! Che idiozia venire in questo dannato paese…”Continuò a camminare, i passi sempre più pesanti, verso l’albergo. Del Segretario particolare nessuna traccia, chissà dove era finito. Fin da subito si era eclissato nella folla e non l’aveva visto per tutto il giorno.
E che caldo infernale! Nonostante fosse notte, l’aria era pesante e densa. Immobile e inquietante.
Giovanna aveva il cuore pesante. Nel suo vestito più bello non l’aveva incontrato.
Semplicemente non c’era e la festa era all’improvviso diventata un’inutile accozzaglia di rumori e di odori sgradevoli. Non aveva ascoltato i discorsi sciocchi delle amiche, gli occhi a perlustrare la folla in un’inutile ricerca. Ora la serata era finita. Restavano soltanto i fuochi d’artificio.
Strinse le mani a pugno nelle tasche e sentì che non c’erano speranze, né mai ci sarebbero state. Lui era irraggiungibile per i suoi desideri e così le sue sciocche speranze si sbriciolarono scricchiolando come i gusci delle nocciole sotto la suola delle sue scarpe.
La piazza era gremita a notte inoltrata. Tutti aspettavano i fuochi col naso all’insù. Sorrisi e chiacchiere, sguardi corrucciati, frustrazioni e gelosie, rabbia e invidia, felicità e noia…ognuno nascondeva il suo particolare segreto. E tutti pensavano al domani, a quello che avrebbero fatto e detto, ai loro desideri e alle loro delusioni. E questi pensieri erano come una caligine che si addensava nell’aria pesante mischiandosi alla polvere delle strade che impregnava ogni cosa.
Il primo botto fu potente.
Sembrò che il cielo dovesse squarciarsi e la strada si mise a tremare come sotto l’urto di una mano gigantesca. La gente si guardò l’uno con l’altro stupita. Poi tornarono a guardare il cielo aspettando di vedere le mille faville colorate disporsi in disegni astratti e concentrici…ma il cielo era rosso come fuoco e il mare oltre le case mugghiava come un urlo che squassava la notte…

Il terremoto fu tremendo. Le case crollarono una dopo l’altra come castelli di carte. Enormi voragini si aprirono nelle strade e l’intera piazza fu inghiottita dalla bocca dell’inferno.
Giovanna fu la prima a  sprofondare e l’ultima cosa che disse fu il suo nome.
Il Cardinale era steso sul letto quando tutto avvenne. Gli sembrò che la volta della stanza scendesse lentamente su di lui come il coperchio di una bara…
“ Non avrei mai dovuto tornare.” Si disse e fu l’ultima cosa.
La vedova Gesualda Mai, quando la trovarono, stringeva fra le mani la sua giacca di kashmir. Sul viso aveva un’espressione stupita e anche leggermente divertita che non avrebbe perso per l’eternità.
Il sindaco stringeva fra le braccia il corpo di Camilla che aveva la consistenza di una bambola di pezza. L’aveva cercata appena si era liberato di amici e conoscenti, appena prima dell’inizio dei fuochi. L’idea era di accompagnarla a casa e approfittare dell’occasione. Magari un giro lungo, fuori dal clamore della festa. Gli era sembrato di vederla tra la folla, ma poi era successo tutto…
A Camilla non aveva più pensato. Si era precipitato a cercare la sua famiglia dispersa fra le bancarelle del viale. Sua moglie con la stupida mania di comprare inutili sciocchezze e suo figlio fermo davanti a qualche bar con una lattina di birra in mano…
Sua moglie la trovò quasi subito, spaventata ma viva, schiacciata contro una bancarella rovesciata dalla folla terrorizzata e in fuga. Suo figlio li raggiunse poco dopo, chiamato sul cellulare.
Era istupidito, chissà se per lo shock o per la birra bevuta. Tutto intorno non c’erano che cumuli di macerie e un buio assoluto essendo andata via la luce. Non riuscivano ad orientarsi per trovare quella che era stata la loro casa. Come automi vagavano in un paesaggio che sembrava lunare, ora che si erano persi tutti i consueti punti di riferimento.
E così fu che trovarono Camilla. Se ne stava accucciata a ridosso di un muro che miracolosamente era rimasto in piedi. Ma i calcinacci l’avevano colpita alla testa uccidendola.
Il Sindaco la prese fra le braccia quasi fosse una bambina, e in effetti ancora lo era…
 Un’alba livida accolse l’arrivo della protezione civile. Fra le macerie, sparuti gruppi di sopravvissuti si aggiravano come automi. Altri scavavano a mani nude o con mezzi di fortuna.
Amed aveva fame. Aveva gli occhi e la bocca pieni di terra ma era vivo.
Il palco dove aveva suonato la banda in piazza, l’aveva miracolosamente protetto dai crolli. Cercò di muoversi. Per fortuna non aveva niente di rotto. Chissà per quanto tempo era rimasto svenuto. Però si sentiva felice. Felice di essere vivo. Di non avere perso nulla, perché Amed non aveva nulla da perdere, se non la vita e quella l’aveva salvata.
Si guardò intorno. Non c’era altro da fare oramai che andare via di li il prima possibile.
Non poteva certo rischiare che qualcuno, pur in quella situazione scoprisse che era un clandestino!
Infilò le mani nelle tasche alla ricerca dei pochi euro che aveva guadagnato il giorno prima.
Per fortuna c’erano tutti. Sarebbero bastati per i prossimi giorni fino a che non avesse trovato un altro Mustafa. C’erano sempre altri Mustafa nella vita di ragazzi come lui. Perché quello era il suo destino e lo sapeva. Il domani era soltanto un altro oggi, e sogni e desideri erano inutili come la polvere che penetrava nelle sue scarpe rotte mentre si allontanava…

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