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lunedì 15 marzo 2010

LA VECCHIA CHE SCRIVEVA CANZONI D'AMORE






Il grano era alto a fine Maggio, nelle campagne che circondavano il paese di mio padre.

Quattro case aggrappate sul fianco di una collina. Le finestre come occhi aperti verso l’infinito.

E c’era nell’aria quell’odore denso di fieno e di animali, e nelle case basse, l’odore polveroso di una dignitosa miseria.

Nelle strade fangose o polverose a seconda della stagione, solo pochi uomini avvolti nei loro mantelli scuri d’inverno e con le camice a quadri infilate nei pantaloni di fustagno lisi sulle ginocchia d’estate, e sempre, d’estate e d’inverno, una coppola calata sugli occhi.

Le donne chiuse nelle case, i fazzoletti in testa d’estate e d’inverno, oppure a lavorare nei campi, con le lunghe gonne arrotolate sui fianchi grossi a scoprire le gambe dai polpacci forti.

I figli crescevano per strada, nel fango o fra le mosche, le guance rosse, e il naso che colava.

Nelle mani sporche, una gran fetta di pane con olio e pomodoro a fare da colazione, pranzo e cena.

Era così il paese di mio padre, quando lui ci nacque in un’epoca così lontana da essere sfocata perfino nel ricordo.

Ma Libera era bella di una bellezza forte e aggressiva che faceva paura agli uomini e invidia alle donne.



Il fazzoletto non riusciva a nascondere la gran massa di capelli scuri i cui riccioli facevano capolino sulle orecchie piccole e carnose.

I suoi occhi scuri mandavano lampi quando lei li ficcava dritti in faccia, arrogante e fiera e non li abbassava come le altre donne al cospetto di un uomo.

Aveva fianchi larghi Libera, e un seno pieno che forava la stoffa della sua blusa di tela grezza.

Andava a servizio nelle case dei signori fin da quando era ragazza. Aveva la forza di un uomo e maggiore coraggio.

Non era stato facile sfuggire alle mani lunghe dei padroni e restare indifferente ai loro complimenti interessati. Lei, tuttavia, aveva quel modo di guardare che sapeva gelare anche gli spiriti più bollenti. Ma era bella e per questo le donne le parlavano dietro.

A sedici anni la sposarono ad un uomo molto più grande di lei che le fece da padre più che da marito, chiudendo gli occhi e le orecchie alle chiacchiere della gente e togliendo il disturbo quando lei aveva poco più di venti anni.

La trattava bene, ma la giovinezza di lei vorace e avida, la spingeva senza requie verso l’amore.

Del primo non ricordava neanche il nome, ma solo il peso del suo corpo e l’odore forte della sua pelle, quando lui l’aveva presa quasi a forza, un pomeriggio d’agosto.

Era il contadino che vendeva il latte per il suo padrone di allora. Lei ci andava quasi ogni giorno alla sua stalla, e non le dispiaceva perché lui era un gran bel ragazzo poco più grande di lei.

Non si difese molto a dire il vero che quasi le sembrarono normali le sue brusche e goffe carezze. L’impeto di quel corpo giovane così diverso dall’ardore tiepido del suo anziano marito era stato come la primavera dopo un lungo inverno…

E dopo ce ne furono altri, ma era lei che li sceglieva quando la noia di vivere si faceva più forte.

A trent’anni, i primi fili bianchi nei capelli, andò a servizio dal maestro del paese.

Era questi uno scapolo venuto dal nord. Libera fu l’unica ad avere il coraggio di sfidare le chiacchiere della gente.

Lui aveva un corpo magro e slanciato, fini mani dalle dita lunghe e affusolate. Aveva occhi chiari e dolci e parlava con voce profonda di cose che Libera non aveva mai sentito.

La conquistò con la musica delle sue parole, con i suoi discorsi complicati e oscuri e le carezze leggere sui capelli. Così diverso dagli uomini che aveva conosciuto.

Anche il suo modo di amarla era diverso. Nei suoi gesti una dolcezza timida e incerta, quasi che lei fosse un oggetto fragile e non la donna forte che era. Certe volte provava per lui una sorta di tenerezza materna quasi fosse un altro dei suoi numerosi figli di molti padri.

“Voglio farti un regalo.” Le disse un giorno.

“ Dimmi cosa ti piacerebbe. Un vestito nuovo, un paio di scarpe…”

“ Insegnami a leggere e scrivere.” Rispose lei, perché davvero voleva capire meglio le cose che lui le diceva. Entrare nel suo mondo incantato di musica e di parole.

Libera imparava facilmente. Aveva un cervello vigile e attento. Non ci volle molto e non avrebbe mai dimenticato l’emozione che provò la prima volta che scrisse il suo nome. All’improvviso tutti quei segni contenuti nei libri di lui, prendevano vita, trasformandosi in pensieri ed emozioni.

E il mondo non finì più entro le case di quel paese aggrappato sul fianco della collina, ma si dilatò a città sconosciute che lei non avrebbe mai visto, a fiumi e mari, montagne inviolabili, e deserti bruciati dal sole implacabile. Era come sognare e perdersi in un’altra realtà. Una realtà che non avrebbe mai immaginato.

Quando tornava a casa la sera, in quella piccola stanza dove dormivano in otto, aveva voglia di piangere se solo avesse ricordato come si faceva.

Ma il tempo passava e un giorno il maestro le disse che l’avevano trasferito. Tornava al suo paese del nord.

“ Ma torno sai! Torno a trovarti. Magari ti porto via.” Concludeva ridendo.

Ma Libera non rideva, le lacrime che non avrebbe sparso, cacciate nel fondo dell’anima.

Le lasciò dei libri di poesie e un libro che parlava del posto in cui lui stava per andare, così che lei avrebbe potuto immaginarlo nel suo mondo lontano.

Lei si convinse che sarebbe tornato. Voleva crederci a dispetto di tutto.

Nei mesi, negli anni, immaginava se stessa insieme con lui il giorno che si fossero incontrati di nuovo. Le parole che lui le avrebbe detto, i suoi gesti, l’espressione del suo viso. E negli anni lui non invecchiava, sempre identico nel ricordo, al giovane uomo che lei ricordava.

Aveva imparato a memoria le poesie, le pagine dei suoi libri erano consunte per il troppo uso e ingiallite e sporche ormai.

E fu così che cominciò a scrivere canzoni d’amore.

Ci metteva tutte le parole che avrebbe voluto dirgli, tutto l’amore che le accendeva l’anima per lui, mentre altre mani la accarezzavano.

Le cantava sotto voce da sola e in compagnia. Ma dopo un po’ le sue canzoni d’amore cominciarono a cantarle anche altri.

Le donne al lavatoio. I giovanotti nelle serenate alle fidanzate.

Come una voce sola la musica delle parole attraversava tutto il paese, scivolando nelle strade strette e sassose, nei campi arsi d’estate, nel fango dell’inverno gelido e piovoso.

Nel tempo che passava, i figli crescevano e prendevano la loro strada, i suoi capelli diventavano sempre più grigi. E nella pelle non più rosea e liscia, le rughe segnavano gli occhi scuri che ancora mandavano lampi. E lei aspettava.

L’aspettava nei giorni e nelle notti, chiedendosi se lui l’avrebbe riconosciuta dopo tanto tempo, nel suo corpo non più fresco, nei suoi gesti lenti e affaticati da un cuore divenuto ormai sempre più ballerino, che si metteva a battere all’impazzata all’improvviso togliendole il fiato.

All’improvviso la sua giovinezza sfiorita, divenne per lei un’ossessione. Se lui fosse tornato? Cosa avrebbe pensato a vederla? Avrebbe trovate ridicole le sue canzoni d’amore cantate da una vecchia con la voce roca e lo sguardo acquoso, perché così lei si vedeva, nonostante non lo fosse affatto.

Nemmeno la sfiorava il pensiero che fosse invecchiato anche lui, perché l’amore non invecchia e il desiderio dell’amore vive anche nelle anime piene di rughe.

Un giorno cominciò a circolare la voce che il maestro sarebbe tornato per una breve vacanza, perché gli era venuta la nostalgia di rivedere i luoghi della sua giovinezza.

Che fosse vero o solo voci di paese, per Libera divenne un’ossessione che come un cancro si mangiava la sua vita. Invadeva i suoi pensieri di giorno, e di notte non la faceva dormire.

E così un giorno si decise ad andare dalla mammana che oltre a far nascere i bambini, si diceva che facesse pozioni di tutti i tipi.

Dicerie certo, ma non si poteva mai sapere. Anzi Libera voleva crederci. Voleva che la mammana avesse il rimedio per farle ritrovare la giovinezza perduta. Non per sempre, ma almeno per il breve spazio di quella visita. Quando lui fosse ripartito che le sarebbe importato di invecchiare?

Ci andò in un giorno di primavera con la speranza nel cuore.

La mammana era una donna nel pieno della maturità con uno sguardo cupo e ironico. Non sembrò meravigliarsi di quella visita. Ascoltò con attenzione e serietà le richieste di Libera. Non sembrò stupirsene affatto. Era abituata a tutto e conosceva bene i desideri degli uomini e delle donne.

Si prese il suo tempo per pensarci e le disse di tornare dopo una settimana.

Fu la settimana più lunga della sua vita. Ma alla fine passò.

La mammana la ricevette pensierosa. Aveva un’aria esitante che Libera non sapeva interpretare.

“ Ho qui quello che mi hai chiesto.” Disse la mammana indicando una boccettina.

“ Questa cosa ti farà bella, ti farà tornare la forza della giovinezza, la vita tornerà nel tuo ventre…” E si interruppe.

“ Ma?” La incalzò Libera.

“ Quanto sei disposta a rischiare per questo?” Chiese la mammana con voce profonda.

“ La vita.” Rispose Libera.

Senza una parola la mammana le porse la boccetta e già la guardava come se fosse morta, con una pena negli occhi cupi. Poi mormorò: “ Non più di cinque gocce ogni mattina…” Ma Libera non l’ascoltava più.

Tornò a casa con il cuore che le saltellava nel petto più ballerino che mai.

Cominciò subito a prendere la “medicina” e si spiava il viso allo specchio per vedere quando le rughe sarebbero scomparse, e si sfiorava il ventre con le mani sciupate chiedendosi quando ci sarebbe tornata la vita.

Passò una settimana, poi ne passò un’altra. Le rughe c’erano tutte ma il cuore era sempre più impazzito e sembrava che dovesse esploderle nel petto.

“ Mamma Vi porto dal medico.” Diceva suo figlio Tano, il più piccolo, quello che le era rimasto in casa.

“ E già, così poi devo smettere di prendere la medicina.” Pensava lei. E con gli occhi del desiderio si vedeva ringiovanire. Le sembrava di avere già più forze, le sembrava che tutto fosse possibile.

Non vedeva il pallore devastante che le cerchiava gli occhi di nero, non dava peso alle fitte che talvolta le esplodevano nella testa e nel petto.

Suo figlio la guardava sconvolto, fino al punto che un giorno le nascose la famosa boccetta per poi svuotarla nei campi.

Ma fu tardi.

Con mille scintille il mondo per lei esplose all’inizio dell’estate. E Libera sentì un dolore fortissimo nel centro del cuore. Un grido le salì alle labbra, ma non emise suono mentre crollava a terra, gli occhi già velati, rivolti verso il cielo.

Non morì subito, ma l’anima le scivolò fuori a poco a poco, lasciando al suo posto un corpo che non vedeva e non sentiva più…

Il figlio la trovò dopo molte ore, la sera tornando a casa dalla campagna.



Il maestro mise piede in paese, già con la voglia di partirsene. Sua moglie si era lamentata per tutto il tempo della lunghezza e della scomodità del viaggio. E poi cominciò a lamentarsi della polvere delle strade così diverse da quelle della città a cui era abituata, polvere che le sporcava le scarpe alla moda e le impolverava i vestiti.

Scesero all’unico albergo del paese se così poteva definirsi.

“ Una bettola!” Sentenziò la moglie storcendo le labbra sottili. In effetti guardandosi intorno, il maestro ebbe la stessa impressione. Il paese gli era parso diverso da come lo ricordava. Così vecchio e misero, le strade ancora sterrate e quelle case basse con la stalla affianco, e quell’odore di polvere e fieno che sembrava penetrare perfino nella pelle.

Che idea sciocca tornarci! Era anni che ci pensava, e ora che era in pensione si era deciso a fare il viaggio. Ma che delusione! Non capiva che nel ricordo, la giovinezza gliel’aveva abbellito, e la speranza di un’intera vita davanti a lui, aveva dato al paese la luce che lui ricordava.

Di punto in bianco decise che non ci si sarebbe fermato più di due giorni. Non valeva la pena nemmeno di disfare la valigia.

Mentre la porgeva al padrone dell’albergo, che faceva anche da facchino e portiere, sentì i rintocchi delle campane a morto.

“ Chi è morto?” Chiese distrattamente, ma col pensiero altrove.

“ E’ morta Libera vedova Mancuso, poveraccia soffriva di cuore da tanto tempo…è morta dopo una lunga agonia…la conosceva?”

Il maestro aggrottò la fronte, ma non ci pensò più di un istante. Che sciocco quello! Perché mai avrebbe dovuto conoscerla?

“ No, non mi pare.” Rispose per cortesia, dandogli le spalle e dirigendosi verso le scale insieme alla moglie. Eppure chissà perché sentiva un brivido nel cuore, come una pietra tombale a chiudere per sempre la sua vita.

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