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lunedì 8 marzo 2010

L'AMERICANO



"Tutto quello che accade ha un senso", pensò Calogero Malaspina nel notare che era una mattinata diversa.

Da un pezzo che aveva in mente quell’idea, ma oggi era il giorno adatto per cominciare a metterla in pratica. Era una domenica d'agosto e pioveva.

Così tirò giù dalla sommità dell’armadio dove l’aveva riposta, avvolta in svariati strati di cellofan trasparente, la vecchia valigia di cartone con la quale venti anni prima aveva messo piede negli States e l’aprì con mani tremanti.

Subito l’assalì un odore di muffa, polvere e ricordi: il viso stropicciato di sua madre e la sua mano che lo salutava, smovendo l’aria infuocata di quell’agosto lontanissimo dei suoi diciott’anni, quando decise di prendere la via dell’America, come tanti prima di lui; il vestito buono di suo padre, l’unico che avesse, che gli stava stretto di spalle, come le scarpe a cui era poco abituato e scricchiolavano sulla strada polverosa che portava alla fermata delle corriere. Erano come flash, fotografie sbiadite di cose di cui non si era conservata l’emozione che allora, le aveva accompagnate.

“ La vita è solo un affacciarsi ad un balcone…”pensava, e quei venti anni in America, li ricordava appena, come fossero volati nel tempo di uno sputo. Aveva fatto fortuna, questo contava e ora bisognava tornare.

Perché la terra che ti ha visto nascere, è fatta del tuo sangue e della tua carne e ti reclama.

Ti chiama nei giorni e nelle notti ed è un dolore nel fondo dell’anima, la nostalgia.

L’america invece è la dimensione dei sogni o forse degli incubi, una lunga strada che ti porta altrove, spezzando ogni radice per crearne di nuove.

Calogero Malaspina, non si era mai sposato. Tutte le donne che aveva incontrato, erano state compagne di viaggio e nulla più. Corpi nei quali affogare la nostalgia e il dolore, la rabbia e la speranza.

Ma ora era tempo di tornare.

Tornare agli occhi scuri di Tanina. Occhi neri e liquidi che lo seguivano attraverso gli scuri chiusi, quando lui passava sotto la sua finestra. Allora ne sentiva lo sguardo pungente sulla schiena. Sedici anni scontrosi e ruvidi mai dimenticati. Una figurina snella e minuscola nascosta negli anfratti dei ricordi, mentre percorreva le strade sconfinate dell’america, a cui lui aveva promesso il cuore e la vita.

Una promessa senza parole, perché mai le aveva parlato, ma lei lo sapeva, Calogero Malaspina ne era certo e sicuramente lo aspettava.

Ci sono promesse che durano una vita. Che intrecciano due anime in un unico destino.

Non aveva mai chiesto di lei nelle lettere ai parenti, perché essi non sapevano e sarebbe stato inutile metterli sull’avviso.

E poi se si fosse sposata, l’avrebbe saputo comunque.

Adesso però era tempo di tornare. L’avrebbe chiesta in sposa a suo padre come usava, o a sua madre sempre che fossero ancora vivi.

Altrimenti l’avrebbe chiesto a lei stessa, aspettandola magari all’uscita dalla messa.

Le avrebbe detto solo: “ Mi vuoi?” Lei avrebbe chinato la sua testa bruna. Sarebbe bastato un cenno, più di mille discorsi.

Era sicuro di riconoscerla al primo sguardo, malgrado gli anni, perché il cuore riconosce ciò che lo sguardo non riesce a fare.

Si guardò allo specchio. Com’era cambiato! Ancora asciutto e forte, ma i suoi capelli neri erano oramai un ricordo e gli occhi scomparivano nella filigrana delle rughe che sole vento e pioggia avevano disegnato sul suo volto. Nel cuore però era rimasto il ragazzo di allora.

Magari non era vero, ma gli piaceva crederlo.

In tutto questo giro di pensieri, lo colse all’improvviso un’emozione subdola: che forse alla fin fine

l’america era pur sempre la sua casa, perché ci aveva speso la giovinezza. Una casa di passaggio, magari, ma pur sempre una casa.

E chissà poi cosa avrebbe trovato al paese e soprattutto chi, dopo tanto tempo!

Certo non poteva presentarsi con la stessa valigia di cartone di quando era partito.

Cosa potevano pensare i compaesani? Che era lo stesso stronzo con le pezze al culo di venti anni prima?

Riavvolse nel cellofan la vecchia valigia dopo averla richiusa, e la ripose sull’armadio, chiudendo i ricordi dentro di essa.



Verso la fine di gennaio il mare si faceva aspro e cominciava a rovesciare sul paese un pattume spesso, poche settimane dopo ogni cosa era contagiata dal suo umore insopportabile.

Da allora non valeva la pena che il mondo girasse, almeno fino al prossimo dicembre, e nessuno rimaneva in giro dopo le otto. Ma l'anno in cui tornò Calogero Malaspina il mare non si alterò, nemmeno in febbraio. Al contrario, si fece sempre più liscio e fosforescente, e nelle prime notti di marzo esalò una fragranza di rose.

Tutti avevano curiosità di vederlo. Di farsi l’idea di quel che era diventato dopo tutti quegli anni.

In piazza non si parlava d’altro in quella primavera che annunciava l’estate.

C’era chi diceva di averlo visto alla stazione delle corriere. Chi, con una macchina nuova fiammante di quelle americane che riempiono una strada.

C’era chi diceva che fosse grasso e calvo con un gran cappello texano sulla testa lucida.

Altri al contrario affermavano che fosse magro ed elegante, con un gran sigaro all’angolo della bocca scontrosa.

Ma in realtà, nessuno l’aveva veramente visto.

E se anche l’avessero visto non l’avrebbero riconosciuto in quell’ometto stropicciato e segaligno fermo all’angolo della chiesa ad aspettare.

Sembrava quasi uno straccione nei suoi vestiti sgargianti e fuori moda. Certo era un forestiero. Un vagabondo di quelli che piovevano in paese nei giorni di festa.

Chissà perché a nessuno venne in mente di rivolgergli la parola, tanto erano presi tutti a parlare dell’americano come oramai tutti chiamavano Calogero Malaspina.

I suoi stessi parenti, i pochi che erano rimasti, affermavano che ancora non si era fatto vivo con loro, a parte il telegramma col quale aveva annunciato il suo ritorno qualche mese prima.

Che poi che cammurrìa questo sconosciuto che tornava con chissà quali intenzioni e che bisognava accogliere comunque, ci mancherebbe, ma…perché non se ne restava negli States che era quello il suo posto. Nemmeno più una casa aveva oramai, e così bisognava pure ospitarlo! Mai si doveva dire che lo mandavano all’albergo!



Non c’era rimasto più nessuno. Neanche il paese a dire il vero. Cos’era quella “cosa” senza anima. Quell’ammucchiata di casermoni dove prima c’erano alberi di limoni? Calogero Malaspina ricordava una piazza e poche case basse intorno. Il bar, l’unico del paese, vicino alla farmacia e all’emporio, uno stanzino buio in cui si vendeva di tutto e ti prendeva alla gola l’odore delle spezie quando entravi.

Ora nella piazza di bar ce n’erano tre, e banche, e negozi dalle vetrine illuminate la sera a fare concorrenza ai lampioni.

Non aveva voluto cercare i parenti, nè fermarsi negli alberghi del paese, preferendone uno di una cittadina vicina. Quel posto gli era estraneo. Neanche un dettaglio riusciva a trovare, che, anche se per vie traverse, incrociasse la strada incerta dei suoi ricordi.

Solo la chiesa sembrava la stessa, più piccola forse, come risucchiata dalle case che le incombevano alle spalle.

Ma Tanina non c’era.

L’aveva aspettata all’uscita della messa, un giorno dopo l’altro, spiando i volti delle donne per scoprire il suo sguardo bruno. Perché era lei la persona a cui voleva parlare per prima.

Invano.

L’aveva trovata poi nell’unico posto dove non si aspettava di trovarla. Con lo stesso sguardo umido e scontroso e lo stesso broncio dei suoi sedici anni ruvidi e sassosi. Il viso grazioso e serio, fissato per sempre sulla liscia superficie di una lapide.

In tutti quegli anni aveva amato un fantasma. Il fantasma di una ragazzina che una febbre tifoidea si era portata via, lo stesso anno che lui era partito. Nessuno gliel’aveva detto, nessuno…

Così è la vita, il tempo di uno sputo da un balcone, uno schiocco di dita e non c’è più.

Se l’era presa l’America la vita di Calogero Malaspina, come la febbre quella di Tanina.

Ci aveva dato il sangue dietro un sogno, i giorni, le notti, la vita intera ed ora era tempo di tornare a quella terra senza ricordi…

E la valigia di cartone, ancora avvolta nel cellofan sopra l’armadio, non l’avrebbe aperta mai più.

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