“La vita non ha senso. Anzi è
la vita che ci da un senso. Sempre che la lasciamo parlare. Dobbiamo ascoltarla
la vita.” (Alda Merini)
In certe notti, quando l’aria
calda dell’estate, si insinua fra gli scuri chiusi al sole inclemente, me lo chiedo,
sai, se ti ricordi ancora, Silvia, il tempo lontano della tua giovinezza ingenua e spavalda.
Quando la bellezza dolce del tuo
viso di ragazza era tutta nello sguardo acceso di quella luce che solo la
timidezza riusciva appena ad appannare.
Eri così allegra allora e ti
ridevano gli occhi quando persa nei tuoi pensieri segreti escludevi il mondo
intorno.
Così ti ricordo, a canticchiare
piano una canzone, le labbra socchiuse. Affacciata al balcone, guardavi la
gente passare e la vita intorno. Oppure china sui libri di scuola, ti
mordicchiavi le labbra pensierosa, fantasticando sull’avvenire vago che ti
aspettava, oltre quella tua giovinezza distratta e spensierata.
Dal palazzo di fronte, dove
abitavo nei lontanissimi anni dell’università, potevo vedere chiaramente la tua
stanza e quello che non vedevo, immaginavo.
Certe volte mentre sudavo sui
miei libri per qualche esame particolarmente difficile, era un dolce sollievo
sentire la tua voce delicata cantare sommessa una canzone. Prima di te amai il
suono di quella voce che spazzava via la
mia nostalgia per gli affetti lontani che avevo lasciato al paese e la
malinconia della solitudine dei miei giorni in quella città sconosciuta ed
estranea.
La vita allora ci sembrava Silvia
mia, uno sconfinato oceano di promesse e negli sguardi che ci scambiavamo e nei
sorrisi, scivolavano i giorni e ci sembrava che tutto fosse possibile.
Il futuro era lì a portata di
mano. Bastava soltanto allungare le dita ed afferrarlo.
Quante volte ho sognato di amarti
Silvia. Di affondare le dita nella massa bruna dei tuoi capelli e sciogliere il
mio sguardo dentro il tuo…Mancava solo l’occasione, la mia timidezza era pari
alla tua.
Ma non avevo dubbi che sarebbe accaduto. Allora non
avevo dubbi su nulla. Era soltanto questione di tempo e noi di tempo ne avevamo
tanto…
Così credevo e invece…
Invece un giorno qualunque di un
autunno tardivo, smettesti di affacciarti al tuo balcone. La tua voce smise di
risuonare in quelle stanze rese familiari dalla mia immaginazione.
Come un sogno alle prime luci
dell’alba, svanisti dall’oggi al domani. Al tuo posto, dopo un tempo
lunghissimo una famiglia con bambini chiassosi che litigava spesso, prese in
affitto quella che era stata la tua casa.
Dopo i primi giorni di sconforto,
in cui non trovai però il coraggio di chiedere notizie ai vicini, cominciasti a
sbiadire nei pensieri. Il tempo passava in fretta fra un esame e l’altro; la
laurea arrivò e con essa, il momento della mia partenza.
Ancora mi sembrava allora di
avere la vita stretta nei pugni. I progetti erano chiari quasi quanto i miei
sogni e non avevo dubbi che li avrei realizzati tutti.
La giovinezza è il dono che il
demonio ci fa per condannarci nella vecchiaia a vivere di rimpianti.
Con parole ingannevoli ci sussurra
promesse che poi non manterrà.
Così pensai il giorno che per
caso, uscendo di casa, preso dai preparativi per la mia prossima partenza,
ascoltai senza volere la conversazione di due anziane donne che abitavano nel
tuo palazzo.
Parlavano di te, di quello che ti
era accaduto senza che io ne avessi avuto il pur minimo sospetto.
Un sabato notte come tanti,
tornando da una festa, in macchina con degli amici, avevi avuto un incidente
gravissimo. Di quanti eravate nell’auto quella notte, ne sopravvisse uno solo e
non eri tu…
Dopo, sotto il peso
insopportabile del dolore, la tua famiglia aveva deciso di trasferirsi altrove
ma io non mi ero accorto di nulla, tanto è cieco l’egoismo della giovinezza.
Chissà cosa pensasti quando la
macchina volò impazzita fuori strada e lo schianto ti uccise. Chissà se ti
giunse improvvisa e crudele la consapevolezza assoluta che la tua giovinezza e
la vita stessa finivano quel giorno e non ci sarebbero stati più per te sguardi
e sorrisi di ragazzi, carezze sfrontate, baci e sogni, e l’amore che tanto
forse avevi sognato nel breve tempo della tua vita sfortunata, ti sarebbe stato
negato per sempre…
Non ho mai saputo dove riposi,
sogno perduto della mia gioventù tradita. Posso solo immaginare la tua immagine
di smalto in cui lo sguardo fisso insegue oramai il solco smisurato
dell’infinito nulla che ci aspetta tutti.
Non avrei saputo dove cercarti
Silvia, o non ho voluto. E tu comunque non mi hai aspettato…
La tua giovinezza spezzata, ha
fissato per l’eternità nel ricordo, la tua bellezza intatta, sottratta all’ingiuria
del tempo. E così mi piace ricordarti, ora che sono un vecchio signore con
pochi capelli e grigi. Ora che i miei
occhi vedono il mondo intorno offuscato come coperto da un velo di
polvere, mentre l’unica cosa vivida sono i ricordi.
Neanche per me Silvia, la vita ha
mantenuto le promesse. Forse l’inganno fu anche più crudele perché negli anni
rimasi a guardare come i miei sogni svanivano ad uno ad uno ed i progetti fatti
si sgretolavano tutti nella polvere di un’esistenza banale e senza slanci.
E mentre la tua vita, esplodendo
in un groviglio di attimi improvvisi e imprevedibili, ha permesso alla morte di
sottrarti all’onta e al dolore della disillusione, negandoti con equanime
indifferenza, sia gioie che dolori, io li ho vissuti tutti, rimpiangendo le
prime e portando le cicatrici dei secondi.
E così ancora oggi, quando
l’estate irrompe come allora nell’autunno della mia vita, io ti ricordo.
Quanti
pensieri dolci, che speranze, che sogni, Silvia mia! Quanto pieni di luce ci
apparivano la vita e il destino! Quando ci penso mi sento dentro un grumo di
sottile dolore e il senso aspro di un disinganno senza sollievo. Perché i
giorni scivolando nei giorni, stanno consumando il mio tempo e non ci sarà
ritorno né rivincita possibile.
Il gioco crudele e impassibile di una divinità indifferente che promette ciò che non manterrà, questa è la vita. E la speranza è un’abitudine…
Il gioco crudele e impassibile di una divinità indifferente che promette ciò che non manterrà, questa è la vita. E la speranza è un’abitudine…
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