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lunedì 23 luglio 2012

RICORDA A ME LA VITA COME IL BACIO DELLA PASSIONE MAI SPENTA

RICORDA A ME LA VITA COME IL BACIO DELLA PASSIONE MAI SPENTA:

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Il sole come una ferita, insinuava nella stanza le sue schegge di luce attraverso gli scuri socchiusi.
Come le estati lontane della sua giovinezza. Quei pomeriggi eterni fatti di noia e mosche, pensieri e sogni, distesa sul letto, le gambe magre di tredicenne e il seno appuntito che scivolava fuori dalla canottiera sottile.
E c’era quell’odore lì, di carne giovane e sudore sulle lenzuola umide.
L’estate era allora un lungo tunnel fra un inverno e l’altro, quando la vita era per lei leggera.
La scuola, le amiche, i giovani amori…l’inverno era il tempo delle promesse, delle giornate frenetiche, ma poi a giugno tutto finiva. Le giornate diventavano interminabili, oppresse dalla calura e dalle mosche fino alla sera quando coi vestiti migliori si passeggiava sul corso del paese alla ricerca di un’improbabile frescura. Si incrociavano gli sguardi degli amanti febbrili e dolci e i sorrisi delle ragazze nelle vesti leggere. E lei con i suoi begli occhi miopi ad inseguire il suo primo amore che non aveva mai visto da vicino e il cui viso dai lineamenti per lei indistinti, spariva sotto una zazzera bionda.
E c’era ancora nell’aria l’odore del grano appena tagliato e i primi fuochi delle stoppie bruciate riempivano il tramonto di fuliggine leggera.
Il primo bacio dato nella rampa di una scala, troppo per il suo corpo e la sua anima di bambina. Il primo di una serie così lunga da scivolare negli anni come un fiume in piena per poi trasformarsi nel rivolo quasi asciutto dei suoi anni maturi, ed esplodere poi nella cascata imperiosa di un amore tardivo...
A venti anni, era un giorno d’agosto. Un paese arroccato sul fianco scosceso di una collina che l’anno dopo il terremoto avrebbe sbriciolato. Lui aveva gli occhi neri, fuoco e tempesta e quel sorriso che scioglieva il gelo dell’inverno e sbriciolava certezze, quando le stringeva la mano e posava le labbra sulle sue. Il suo corpo snello e il profumo della sua pelle scura che le impregnava i vestiti, nei loro abbracci affannati. Quell’ansia di incontrarlo, uscendo di casa di soppiatto. Gli occhi bassi, i palmi delle mani sudate e il fuoco fra le gambe…Lui l’aspettava con quel sorriso sornione di chi ha già vinto. E in quell’agosto lontano come un sogno camminavano vicini, lui le teneva il braccio intorno alle spalle, regalandole pezzi di paradiso con la sua voce roca. Il temporale scoppiò all’improvviso, fragoroso e inarrestabile. La pioggia cominciò a cadere impetuosa e invincibile impregnando vestiti e pensieri. Lui le afferrò la mano e si misero a correre sulle pietre sconnesse, le magliette sottili appiccicate alla pelle e alla loro giovinezza imperiosa e ruvida….

La donna entrò nella stanza, il passo misurato e composto di chi sa quel che fa, e lo fa senza pensarci e senza esitare. Si avvicinò agli scuri e li accostò ancora aumentando la penombra. Ma perché poi? ne avrebbe avuto di tempo per riposare…
La notte era dolce sulle case di Parma. Una notte d’estate che scivolava afosa nelle strade deserte. La macchina sparata a centoquaranta, il nastro che girava invadendo il buio di note e il cuore di emozioni. Lo guardava guidare, i muscoli del braccio contratti sulla leva del cambio, lo sguardo bruno assorto e lontano ed era già l’annuncio di un addio…Ma a venti anni la vita è ancora la promessa di giorni felici e un amore che finisce è il preludio di quello che lo seguirà. Anche il dolore che ti sbriciola il cuore dura lo spazio di un momento, anche se è un momento che può durare anni. Ma poi la vita porta altri visi, altre parole e altre estati…
L’aveva scelto per compagno perché aveva lo sguardo trasparente, incapace di mentire. Aveva amato il lui, la quieta dolcezza che non si trasforma mai in passione. Perché lui era il porto sicuro dopo un lungo andare e la guardava con occhi ammirati .Nella chiesa faceva caldo. L’odore dei fiori dava un leggero capogiro e lei si chiedeva dove fosse l’emozione del momento nel suo cuore muto e sordo. Lo guardava senza indovinarne i pensieri. E avrebbe dovuto saperlo già da allora che non li avrebbe indovinati mai dietro quel suo sguardo trasparente che poteva diventare insolitamente duro e lontano, dietro le sue rare parole che lasciava cadere come fiocchi di neve dispersi sulla riva del mare. E dov'era l’emozione quando gli anni scivolavano negli anni, alternando le estati agli inverni, mischiando i momenti, i giorni, le ore in una poltiglia informe di inutili rabbie e cocenti rancori. Neanche si era accorta che la luce si spegneva nei suoi occhi e l’anima si incupiva di polvere densa che la tristezza mischiava alle lacrime. Non era neanche importante che la vita scivolasse via, senza un sospiro senza una carezza, perché la felicità era un ricordo e la serenità un’illusione.

L’acqua le scivolava con un rivolo lungo il mento, mentre tentava di berla lentamente. Ma era fresca, leggermente frizzante e sapeva di sale, ma poi si accorse che erano le sue lacrime…

“ Ricordami la vita, o Dio, ricordamela ancora..”
Com’erano rossi i suoi capelli e non quel colore sbiadito che aveva ora. E il suo viso che il sorriso rendeva bello quando lasciava intravedere i piccoli denti bianchi fra le labbra socchiuse.
Ma il tempo frantuma le immagini in un caleidoscopio confuso, così come stritola i corpi risucchiando la carne, per lasciare pelle di pergamena sulle ossa sottili, che il dolore ha mangiato dal di dentro rosicandole piano.
 L’anima non si riconosceva nell’immagine distorta di un corpo disfatto. Ricordava soltanto la ragazza che era stata e i lunghi anni della sua vita le sembrarono ad un tratto solo schegge di uno specchio andato in frantumi. Molte cose erano sfuggite al ricordo, perdute per sempre nelle nebbie dell’oblio, come se non fossero mai accadute. Ma non lui e il suo sorriso, quegli occhi verdi che promettevano dolcezza agli anni grigi della sua maturità.
La sua voce che veniva a portarla via dalla tristezza di giornate vuote e sempre uguali.
Qualcuno le accostò alle labbra di nuovo il bicchiere e dita sottili le porsero una piccola pillola rossa. Avrebbe quasi riso se avesse avuto le energie necessarie.
A che sarebbe servito? Un mese, una settimana, un giorno in più? E come poi? Che senso aveva? Eppure inghiottì la pillola e le venne un leggero colpo di tosse.
La stanza le sembrò ad un tratto ancora più buia. Forse il sole fuori stava tramontando.
O forse erano solo i suoi occhi.
Non lo sentì entrare. Aveva quel passo leggero che ricordava bene e lo stesso sorriso di quando l’aspettava nel loro luogo segreto e lei arrivava col passo leggero e il cuore che batteva a mille. Cuore di vecchia ragazza che all’amore non ci pensava più.
Ma lui era li che l’aspettava e l’avrebbe aspettata per l’eternità…
Anche adesso, qualcuno l’aveva certo fatto entrare di nascosto, soltanto perché lei potesse vederlo ancora una volta. O forse perché la vedesse lui.
Che cattiveria! Era stata proprio una cattiveria questa. Almeno l’avesse ricordata com’era al tempo felice del loro amore. E non la pallida cosa che era adesso. Che avesse ricordato soltanto l’eco delle sue risate e non l’ansito del respiro che si frantuma sui denti.
Si era addormentata…quel lontano pomeriggio di giugno, nella stanza infuocata fra le braccia di lui.
La passione aveva disegnato sui loro corpi mantidi, sentieri inesplorati e impensabili. Era affondata nel verde dei suoi occhi e il sonno li aveva colti all’improvviso.
Al suo risveglio era notte inoltrata. Non c’era scampo, non c’era bugia che avrebbe potuto salvarla e tornando a casa i passi pesanti, sentiva nel cuore una pena leggera come di destino compiuto al quale non ci si può sottrarre.
Tutta la famiglia l’aveva cercata. Il silenzio di suo marito era fragoroso come mille discorsi fatti tutti insieme. Il suo sguardo gelido tagliava come una lama…
E poi non ci fu bisogno di parole ad aprire la porta della loro consapevolezza, e la rabbia sfumò in un silenzioso rancore che si mangiò i giorni, le settimane, i mesi, ma lui non voleva perderla e fu una guerra.
Ma la vita decise una volta per tutte. La vita? Forse fu la morte col suo passo silenzioso, con i suoi sospiri nel buio della notte che stropicciano la pelle come un brivido freddo.
E non ci furono più baci né carezze segrete. Non ci fu null’altro che l’odore penetrante dei medicinali fra le lenzuola umide. E fu una vendetta beffarda veder sfiorire giorno dopo giorno i colori  della sua bellezza, per entrambi gli uomini della sua vita.
Ma alla fine divenne prigioniera di una stanza e dei silenzi ostili di quello che l’aveva persa rimanendone padrone.
Ma l’altro chissà come era riuscito a raggiungerla e ora era li accanto a lei e la guardava.
Avrebbe voluto scomparire. Scivolare per sempre nell’ombra perché lui non potesse vederla.
Per non sentire scivolare il suo sguardo la dove prima c’erano le morbide forme del suo corpo che lui ricordava benissimo, mentre ora il lenzuolo si increspava appena.
Ma lui aveva gli stessi occhi che ricordava. Lo stesso sguardo dolce e denso e allora capì che ancora la vedeva con lo sguardo cieco dell’amore.
Ricordami  la vita con il bacio della passione mai spenta.” Lei sussurrò e lui, chinandosi, la baciò piano sulle labbra dischiuse…

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